il PUG, questo sconosciuto... di Antonio Daddabbo Riascoltando, anche più di una volta, gli interventi fatti il 26 maggio, nella sala consiliare del Comune di Serracapriola, non si riesce a fugare il dubbio che i relatori non abbiano le idee chiare sul PUG e che lo confondano con un nuovo Piano Regolatore. Infatti, sull'esempio di "Striscia la Notizia", analizziamo alcune affermazioni, a cominciare dal Sindaco, il quale ha detto "ho voluto immaginare un nuovo Piano Regolatore, oggi chiamato Piano Urbanistico Generale, a distanza di trent'anni..." e ancora "io ritengo di non fare un Piano Urbanistico Generale che possa servire al sottoscritto o a questa Amministrazione, ma un Piano Urbanistico Generale che possa servire ai cittadini tutti... " Ci sono tre errori da sottolineare con la matita blu. Primo, un Sindaco dovrebbe dire almeno "ho sentito il dovere di...", perché il PUG non è una scelta o una concessione, ma uno strumento indispensabile alla pianificazione. Secondo, non si tratta di un "nuovo Piano Regolatore" ma del PUG, quindi c'è stata una qualche confusione. Terzo, se l'incarico è stato affidato a professionisti seri e preparati, il PUG, in quanto tale, non può che essere redatto nell'interesse dei cittadini tutti: è un po' come se il Presidente della Repubblica dovesse promettere agli italiani che nessuno sarà impiccato o fucilato: sarebbe una promessa priva di senso, perché in Italia non esiste la pena di morte!. Nell'intervento dell'architetto comunale, nonostante che abbia chiarito la differenza tra PUG e PRG, emerge l'affermazione di "un PRG ormai abbastanza datato e questo richiede già una rivisitazione...". E' noto che il PUG va oltre il PRG, il cui contenuto, al massimo andrebbe aggiornato ma non stravolto. Per esempio, gli edifici scolastici esistenti in fondo al Corso (che secondo il PRG possono essere demoliti e ricostruiti fino a 2-3 piani fuori terra) possono essere semplicemente vincolati, nonostante gli edifici siano sempre gli stessi. Infine siamo agli interventi dei progettisti. Il prof. Dal Sasso auspica "vorrei veramente sentire l'espressione di uno di Serra, un abitante di Serracapriola, come vede Serra nel 2030", quasi il PUG fosse un libro dei sogni. Il prof. Selicato, prova a correggere il tiro del collega, ma in pratica si allinea, sottolineando che non si possono fare progetti che, poi, non saranno mai finanziati, quasi sia possibile progettare partendo da un'idea e non dalle disponibilità economiche (purtroppo nei corsi universitari gli studenti imparano a progettare gli edifici, prescindendo dai costi e dai vincoli). Nella Circolare dell'Assessorato all'Assetto del Territorio n.1/2005 è stato sottolineato che il Piano Urbanistico Generale (PUG) introdotto dalla Legge Regionale 27 luglio 2001, n.20, "Assetto e utilizzazione del territorio", è uno strumento radicalmente diverso dal Piano Regolatore Generale, sia nell'impostazione concettuale e metodologica, sia nei contenuti e negli effetti programmatori. L'attività regionale di verifica di compatibilità dei primi PUG sta rivelando che i Comuni hanno difficoltà a cogliere appieno l'innovazione legislativa e tradurre in pratica alcuni obiettivi e principi chiave del nuovo sistema di pianificazione, anche perché essi sono espressi nella norma regionale in modo essenziale e con scarse indicazioni operative. Quasi certamente è sfuggito a tutti che il PUG nasce per compensare le disastrose conseguenze derivanti dall'applicazione del PRG, quasi sempre disegnato senza tener conto delle realtà locali, ignorando che il territorio, come tutti gli esseri viventi, in presenza di interventi errati, presenta autentiche forme di rigetto. Finalmente si dovrebbe aver capito che non basta disegnare dei rettangoli sulla cartografia di un paese per pianificare lo sviluppo dello stesso. Per convincercene, senza allontanarci da Serracapriola, possiamo esaminare alcuni casi, a cominciare dalla Stazione ferroviaria, un edificio costruito ed abbandonato ai vandali: un esempio lampante della scarsa professionalità del tecnico che ha disegnato, sulla cartografia, quel piccolo rettangolo, che, in tempo reale, si è tradotto in sperpero di denaro pubblico. Quando si dice che qualcuno o qualcosa è un "monumento", si fa riferimento a qualcosa di inamovibile, eppure, per la fontana monumentale di Serracapriola, possiamo pronunciare la famosa frase "eppur si muove". Questa fontana è stata spostata da piazza castello (per cedere il posto ad una statua di San Francesco) ad una zona prossima al convento ed arricchita (a mo' di consolazione) con un capriolo, ma a distanza di anni, è ritornata nel luogo di nascita. Sarebbe meglio non parlare, infine, della porcilaia. Per comprendere questo caso, occorre far riferimento al "serrano doc", per il quale vale il principio "fidarsi è bene, non fidarsi è meglio", basti pensare che, fino alla fine dell'ultima guerra, i serrani, per acquistare il latte, pretendevano di essere presenti alla mungitura ed il povero capraio, verso il tramonto, al ritorno dal pascolo, percorreva con il proprio gregge le strade del paese, dove lo aspettavano i clienti, davanti alle proprie case con i propri contenitori: nonostante ciò circolavano varie storie sui trucchi adottati dal capraio per "allungare" il latte. A fronte di questa mentalità, possiamo figurarci quale fiducia i serrani potessero nutrire nell'acquisto dei salumi (chissà che carne ci mettono). Fino a metà '900, c'era l'usanza da parte di quasi tutte le famiglie serrane di acquistare (in genere si aspettava la fiera di S.Rosalia) e allevare in casa almeno un suino, che aveva la sua ora d'aria nelle strade e anche lungo il corso. Chì nté guè ce càtt'u purcèlle (chi non ha guai si compra un porcellino). Coloro che non disponevano di un locale, da destinare a porcile, crescevano l'animale in strada, legato come fosse un cane da guardia. La vita del porco all'ingrasso durava circa un anno, tanto che a chi compiva gli anni (ad es. 71) si diceva: Cumpà! Che vè truvànne! Sì ruvvète è chèmpè settènt'anne cchiù du porche! (Compare! cosa vuoi di più? sei arrivato a campare settanta anni più del maiale!). Nel mese di dicembre si chiamava u chjènghire, che provvedeva alla macellazione a domicilio: ancora oggi, nei seminterrati del Centro Storico, nel punto in chiave della volta, si può notare un anello, cui veniva appeso il maiale dopo l'uccisione (un rito, pe ccide 'u porche senzè delóre, a cui partecipavano tutti i parenti ed anche il vicinato se la famiglia non era numerosa). In quel periodo dell'anno l'unità abitativa si trasformava in salumificio, che impegnava tutti i componenti la famiglia. Per quanto riguarda la produzione, si partiva dal sanguinaccio e si finiva alla salsiccia di fegato, fechètàzze, alla salsiccia, sevucicce cu pépe o cu pepóne, alla soppressata supprescète, a i nnógghje (preparati con budella e trippa). Con l'arrivo della modernità, l'élite serrana, con la "puzza sotto il naso" (ma soprattutto con scarsa voglia di lavorare), cominciò a dimostrarsi intollerante per la presenza dei maiali in strada ed il popolo serrano si spaccò in due partiti, pro e contro il povero maialino. Si arrivò, così, ad un referendum, che segnò la deportazione dei maiali in "collegio". Il partito favorevole alla tradizione, a difesa del maiale casalingo, denunciava l'aumento dei costi per la "retta del collegio", ma in realtà sapeva benissimo che "l'occhio del padrone ingrassa... il maiale", e poi in "collegio" chissà cosa davano da mangiare al povero maialino (la bontà della carne era rapportata al cibo che l'animale mangiava, poiché la natura non regala niente a nessuno). In seguito, quasi certamente qualche serrano d'importazione o d'esportazione o comunque inquinato, pensò bene che, tanto 100 tanto 101, oltre ad affidare a terzi l'allevamento, sarebbe stato opportuno delegare anche la macellazione ed il trattamento delle carni. Ancora una volta qualche bravo tecnico è intervenuto sulla cartografia di Serracapriola ed ha disegnato un rettangolo con la denominazione "porcilaia", in cui sarebbero stati allevati i maiali per una ditta del Nord. A questo punto è scoppiato il finimondo, che in questa sede è impossibile, più che difficile, descrivere. Si potrebbe continuare con altri esempi, ma quando descritto è più che sufficiente per capire che il coinvolgimento della popolazione, nella stesura del PUG, non è una forma di democrazia (o una concessione fatta al popolo) ma un'assoluta necessità, dunque è solo un'illusione pensare che il coinvolgimento (o compartecipazione) della popolazione possa ridursi ad una formalità. |